TESTI CRITICI

Omar Calabrese - La figura del guerriero

Fra tutti i temi figurativi dell’arte di Salvatore Amelio, ce n’è uno che mi colpisce più profondamente degli altri. Per me, infatti, la figura fondamentale nell’immaginario dell’artista è quella del cavaliere, o del guerriero. La ritroviamo in moltissimi quadri, e perfino in alcune sculture. Ma non la ritroviamo semplicemente “ripetuta” in contesti differenti, come se si trattasse della variazione sul tema, come se di lei si raccontassero delle storie nuove, sempre semplicemente per continuare a vederla in azione.
La figura del guerriero serve invece per sperimentare tutta una serie di invenzioni spaziali, cromatiche, tematiche, che cercherò di individuare e di elencare sommariamente.
Primo, gli spazi. La figura del guerriero viene analizzata da Amelio non soltanto come oggetto veridittivo (nel senso che effettivamente assomiglia all’idea che ci facciamo di un guerriero medioevale o rinascimentale).
Proprio la sua riduzione alla superficie metallica di un’armatura metallica fa sì che si possano sperimentare decine di articolazioni di questa massa materiale, di questo involucro solido.
E infatti Amelio sembra in primo luogo, quando rimane ancora dalla sua figura in senso realistico, studiarne la superficie, seguirne i giochi di luce, le brillantezze, le resistenze, le campiture.
Poi, il figurativo viene quasi sempre per forza abbandonato, perchè la necessità di seguire l’evoluzione dello spazio coperto dalla superficie metallica diventa fortissima.
Smettiamo di vedere il guerriero, allora, ma le porzioni dell’armatura, il cui disegno era tale da mettere in rilievo la sfaccettatura dovuta al metallo, divengono adesso pezzi autonomi, spazi cromatici che si liberano nello spazio del quadro, assumendo di volta in volta altre forme, o forme potenziali, come quella di uccelli, o semplicemente librandosi sulla superficie del quadro in un gioco sempre più astratto fra figura e sfondo. La materia rigida e dura si è tolta di dosso il proprio carattere naturale, si è alleggerita, è diventata qualcosa di tenue, volatile, astratto come un ente geometrico-matematico. Non a caso, le parti di armatura sembrano in certe opere come le figure della topologia con la loro mobilità del piano quasi assoluta.
Questa progressiva scomposizione e geometrizzazione del guerriero si riflette anche sul senso assunto dal rapporto fra figura e sfondo, che diventa molto più contrastato, quasi un vero combattimento gestaltico. Sottolineo la parola “combattimento”, perchè come si vede, essa ha una relazione con la parola “guerriero”. Se l’astrazione ha fatto perdere dunque al “guerriero” la sua riconoscibilità come figura dal mondo, non le ha fatto però perdere il suo senso strutturale.
La perdita di forma non ha comportato perdita di senso. 
Il colore, in secondo luogo. Con le osservazioni sulla relazione tra figura e sfondo siamo entrati in un altro tema riguardante Amelio, quello del cromatismo. Come si può ben vedere, infatti, Amelio forza i contrasti cromatici, soprattutto tramite una tecnica di campitura degli spazi che, come abbiamo visto sopra, ha si degli effetti figurativi, ma principalmente effetti di colore.
La precisione, la nettezza, la divisione delle tinte, la quasi totale assenza di toni, la scelta quasi rigorosa di colori primari, o comunque di una certa violenza sono responsabili di alcuni effetti estetici fondamentali. Ad esempio: l’impressione oggettiva, “fredda”, delle visioni di Amelio, a causa della rigorosa assenza di tracce della “mano” che ha dipinto la superficie della rappresentazione.
Il cromatismo sena pennellate apparenti (come è, in tutt’altro senso ovviamente, quello di un Valerio Adami) non rinvia a nessuna traccia del soggetto dell’enunciazione, non dice mai “io”. Di qui, una certa impressione di metafisicità nelle opere di Amelio, che non viene tanto dalla solitudine della figura del guerriero, parente lontano dei ferraresi manichini, quanto piuttosto proprio dall’isolamento spaziale e cromatico dei componenti dell’immagine.
I temi, infine. Con le ultime righe siamo passati dalle notazioni sulla forma dell’espressione a quelle sulla forma del contenuto.
L’originalità di Amelio, infatti, consiste proprio nel fatto che attraverso mezzi espressivi molto specifici, molto personali, molto originali, raggiunge anche un’articolazione del contenuto ugualmente definita e originale. Io l’ho chiamata “metafisica”, e non sono il primo a farlo. Ma capire che Amelio ha a che fare con al pittura ferrarese di questo inizio secolo, capire che la compattezza della sua armatura di guerriero serve a restituire il medesimo significato di isolamento, silenzio, destino delle figure di De Chirico, Savino e Carrà, non è ancora una gran scoperta. In fondo, questa poetica metafisica è abbastanza scopertamente dichiarata dall’artista, soprattutto nelle opere che ho qui chiamato “figurative”. Assai più importante è invece capire la relazione fra il tema metafisico e la tecnica pittorica e compositiva. Il guerriero-manichino, infatti, potrebbe essere(e spesso è) una citazione, un richiamo ironico o nostalgico. Metafisica è invece l’assenza di un soggetto e di un tempo ( non c’è un “io” grammaticale, come si è già detto, ma non c’è nemmeno un “adesso” che indichi il tempo di enunciazione dell’opera). Mancanza che si realizza soprattutto con il colore, e con la precisione del disegno.
Ma metafisica, infine, è soprattutto l’insistenza della metamorfosi delle figure. La capacità del guerriero di farsi altre figure, per via di scomposizione e di combinazione, fino a quella di farsi astrazione totale, relazioni pure, ebbene questa è una dote essenzialmente metafisica, un potere mentale e del sogno.
Non tutta l’opera di Amelio, ovviamente, può essere collocata sotto lo stesso segno stilistico. Altrove, ad esempio nelle sculture con committenza religiosa, c’è una specie di ritorno accademico e poco sperimentale, che però dimostra l’eccellente mano e l’altrettanto eccellente tecnica dell’artista, quasi a valorizzare due volte il su più caratteristico esperimento estetico, cioè il dispiegamento formale e di contenuto del suo guerriero. Il quale guerriero, dalla seconda dimensione della pittura si trasferisce anche qualvolta nel volume tridimensionale della scultura, mostrandosi così quasi un cacciatore di forme. O meglio, una forma alla caccia della propria giustezza, della propria posizione, del proprio luogo. Una forma in cerca di metamorfosi.

 

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