TESTI CRITICI

Graziano Campanini - I colori del bronzo

Dopo essere disceso dai monti della Toscana, il fiume Reno si inoltra nella grande pianura padana per dirigersi verso l’Adriatico dove, a Casal Borsetti, si immette nel mare. A metà circa del percorso compie una gran curva verso est, nel territorio del comune di Sant’Agostino a ridosso del Bosco della Panfilia. È questo uno degli angoli naturali più belli d’Italia: quasi duecento ettari di bosco, “unico reperto archeologico” di foresta golenale dell’Emilia Romagna. In questo luogo d’incontro d’acque e di alberi, di arbusti, funghi e tartufi, vivono animali selvatici come la volpe, il ghiro, il riccio, il gufo, il picchio rosso e tartarughe d’acque. Il luogo è anche rinomato per la produzione del tartufo bianco il cui profumo si spande per le vie del paese in occasione della tradizionale sagra annuale.
Sant’Augustino de Paludibus è il nome antico di questo luogo ai margini di due differenti mondi culturali, religiosi, economici e naturali: marca di confine tra terre ed acque, tra le province di Bologna e Ferrara, tra le diocesi Felsinea, Estense ed un tempo anche Ravennate.
Oggi di paludi non se ne vede neppure l’ombra. Questo accade perché per molte generazioni gli abitanti del luogo hanno lavorato, dissodato la terra, regolato le acque dei fiumi, costruito canali, reso l’agricoltura ricca, fiorente ed ordinata.
Da qui inizia un mondo che giunge sino all’Adriatico e che nelle antichissime mappe del Cinquecento e del Seicento si presentava come un vasto insieme di città e cittadine ai bordi di valli, di laghi, di gorghi, di luoghi dove spagliavano fiumi e canali, in cui la terra emergeva solo per i mesi estivi e magari da novembre a marzo era sott’acqua; mondo in cui viaggiare in barca era forse meglio e più sicuro che farlo via terra.
Molti toponimi ricordano questa situazione: Casumaro, Tàmara, Portomaggiore, Pontelagoscuro, Poggio Renatico, Gorgo. Questo mondo, questo tipo di civiltà nasce in questo incrocio di terre e di acque.
Oggi nel territorio comunale s’incontrano numerosi corsi d’acqua e grandi opere di ingegneria idraulica create dell’uomo per controllarli. Nel suo territorio vi passa dunque il fiume Reno, che un tempo spagliava attorno e che oggi è regolato nel suo corso fino al mare; da una sua costola nasce il Cavo Napoleonico che termina il suo viaggio dopo una trentina di chilometri nel Po. Vi passa il canale Emiliano-Romagnolo ed altri canali utili per irrigare la grassa campagna circostante o scolarne le acque in eccedenza.
Nascono qui alcuni ricordi personali comuni, penso, a molte altre persone. Uno dei miei primi lunghi viaggi in bicicletta da Pieve di Cento, dove sono nato, fu alla “Baita”, quando avevo dieci o dodici anni e si andava lì, nei pressi del bosco, per fare il bagno e mangiare “i gnocchini fritti”. I grandi gattici servivano per tuffarsi nelle acque fangose del fiume (Rhin, in celtico significa giallo di acque limacciose).
Qualcuno più adulto ed esperto di me appendeva ai grandi rami degli alberi resistenti corde alle quali si legavano gomme di camion che fungevano da altalene, utilissime per i tuffi. Altri andavano alla spiaggia preferita dai santagostinesi, la cosiddetta “Giarina”.
Erano quelle le prime escursioni da ragazzi. Quando poi le acque cominciarono ad essere inquinate fummo costretti a trasferirci tutti al mare. È uno di quei ricordi che non posso dimenticare perché quella specie di mondo l’ho ritrovato soltanto in qualche film americano o francese che si rifaceva a situazioni precedenti la Seconda guerra mondiale o nella letteratura di Cesare Pavese; luoghi che purtroppo almeno nel Nord Italia difficilmente si possono ritrovare.
Più a lungo è resistito come luogo di ritrovo per i ragazzi del posto il primo tratto del Cavo Napoleonico che per molto tempo è stato considerato la loro piscina privata. La cittadina è quasi completamente moderna salvo qualche raro edificio nella campagna, come il “Palazzo dalle quattro torri”, o la Chiesa Parrocchiale.
Non esiste un vero e proprio centro storico: la natura ha sempre fatto da padrona nel territorio mentre la cultura, che pure ha prodotto qualche notevole emergenza architettonica, si è esplicata nel lavoro dell’uomo e nella sua organizzazione.
Summa e spiegazione di quanto ho detto è divenuta però la nuova piazza cittadina, ubicata tra la Parrocchiale e il Municipio, a lato della strada provinciale che da Modena porta a Ferrara.
Al centro della piazza si trova ora una grande scultura in bronzo di Salvatore Amelio. È sintomatico che l’amministrazione comunale l’abbia voluta porre nel centro della piazza, in quello che oggi è la nuova identificazione di quello che in futuro sarà detto centro storico.
Attorno a quest’opera, che è divenuta il perno di un nuovo modo di pensare la città, gli abitanti di Sant’Agostino hanno modo di identificarsi, di ritrovare la propria storia passata e forse la consapevolezza di star creando il futuro della propria città.
Si deve alla maestria dell’artista aver saputo individuare i percorsi emotivi degli abitanti di Sant’Agostino ed anche gli evidenti riferimenti alla storia passata: storie di agricoltura, storie di fiumi e di acque, storie di fatica, storie della conquista di un benessere dovuto sì al duro lavoro, ma anche alle intelligenze che hanno saputo costruire un sistema agricolo e di controllo delle acque almeno per oggi ancora perfettamente funzionante.
A queste idee di fondo Salvatore Amelio ha dato forma attraverso l’uso sapiente che egli sa fare del bronzo: la grande scultura è composta da due quinte scenografiche, una rivolta verso il municipio, l’altra verso la chiesa. Molto alte, di cemento armato a cui sono applicati i lavori in bronzo.
Sono due argini del Reno su cui le acque si convogliano? Sono due delle ali dei grandi uccelli che sorvolano la campagna? Sono vele che portano le speranze di un’intera collettività? Sono quinte di un teatro della vita che quotidianamente si svolge nella piazza medesima, piazza intesa come teatro della nostra civiltà? Forse sono tutte queste cose assieme.
Amelio è pittore, disegnatore e soprattutto sculture ed ha animato il territorio circostante con le sue grandi creazioni in bronzo. Ritengo tuttavia che questa grande fontana nella piazza di Sant’Agostino sia la sua opera migliore (per ora naturalmente).
Non solo le perfette fusioni di bronzo che pur ricordando i suoi guerrieri ci mostrano un fiume Reno che versa acque di vita attraverso una grande anfora (di berniniana memoria) ma anche i voli di gabbiani che si liberano e librano oltre questa scultura e che, pur essendo di bronzo, paiono tuttavia volare leggeri ed eterei.
I gabbiani che prendono il volo da questa scultura ritornano a volare sopra il territorio attorno e con il loro sguardo a volo d’uccello rivedono il lungo nastro argentato del fiume Reno, gli altri corsi d’acqua, la folta macchia verde del boscone, i campi arati, squadrati, centuriati fino alle lontane colline appenniniche. Attorno, la pianura è illuminata dai raggi del sole che con la sua luce dà a tutte le cose un’aurea particolare e felice anche nelle giornate più dure e faticose.
Al tramonto i raggi si riflettono sui grandi bronzi della scultura, fanno scintillare di magia le acque di metallo che escono dall’anfora, risplendono sulla barba del gigante Fiume Reno.
Per i volatili della scultura l’opera diventa sia luogo per partire e librarsi nell’aria sia sicuro rifugio nelle calure estive o durante le grandi nebbie d’autunno. Le nebbia, le piogge faranno poi risplendere di un altro colore più argentino i medesimi bronzi. Perché il bronzo è vivo, cambia colore a seconda della luce che lo colpisce, si scurisce, ma può tornare a splendere se pulito sapientemente.
Con il tempo si macchierà e si segnerà di ombre di vita, proprio come quella che gli scorrerà attorno e di cui sarà felice testimone.

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Salvatore Amelio Tel. e Fax 051.902107 - Cell. 338.8629115 - e-mail Privacy Policy